Storia del brigantaggio ad Afragola – Parte I

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Il campo della ricerca storica offre numerose occasioni per sperimentare quella straniante ma per certi versi emozionante sensazione serendipica di ritrovarsi davanti a cose, persone o fatti mentre si cercava altro. Tale sensazione ho provato pochi giorni addietro, allorquando le indagini per il censimento delle opere di Angelo Mozzillo hanno condotto alla scoperta di un falso mozzilliano, che si è rivelato essere un dipinto di un altro autore. Autore che non era mai stato segnalato in Afragola e generalmente a nord di Napoli, ove sono custodite la maggior parte delle sue pitture. Se tale scoperta sarà confermata – e ne riferirò i particolari ai miei undici e pazienti lettori nei prossimi giorni – si aggiungerà ulteriore prestigio al patrimonio artistico e culturale cittadino.

Le fragilità postunitarie e la reazione criminale.

Abbiamo già evidenziato in altri interventi come l’Afragola che, nel 1860, vede l’arrivo dell’amministrazione sabauda fosse un casale agricolo segnato da povertà di matrice latifondista, da ignoranza e analfabetismo per buona parte della popolazione, da tensioni sociali che perduravano da decenni, a causa dell’incipiente contrasto fra il ceto medio dedito alle arti liberali e la grande massa proletaria legata alla terra.

Dei fatti di Gaeta, dove si consumò l’ultimo atto del Regno delle Due Sicilie, dovette giungere solo un’eco distratta nel casale, afflitto da debolezza istituzionale – si susseguirono tre sindaci in appena 18 mesi, uno dei quali, Giuseppe Fiore, finito sotto inchiesta per favoreggiamento della criminalità – scarsa igiene, diffusa prostituzione nei sordidi vicoli dei rioni Santa Maria e Rosario, violenza privata, usura, vera e propria fuga di giovani verso Napoli o altre zone alla ricerca di un futuro migliore.

Sostanzialmente la nuova dinastia fu simboleggiata dal cambio di intestazione degli atti notarili e incarnata dal comando dei carabinieri. Chi non andava via, approfittava del cambio di regime per migliorare la propria condizione con l’uso della violenza o avvicinandosi al mondo dei nuovi padroni, non per intimo convincimento ma per poter esercitare, nel nome della nuova dinastia sabauda, vendette dal sapore antico. Sopraffazioni, denunce alla pubblica autorità, omicidi caratterizzarono i primi anni unitari in Afragola e in molte altre realtà locali e il carcere mandamentale, posto nei locali dell’ex convento domenicano del Ss. Rosario, fu riempito di persone accusate per vicende relative ad anni precedenti.

Ci fu anche, ed è il caso di studio di stasera, chi approfittò delle incertezze e delle connivenze – o anche del travaso avvenuto quasi naturaliter di parte del vecchio notabilato1 nel nuovo quadro istituzionale – per ritagliarsi un ruolo di rilievo nel mondo della criminalità e confondere la propria posizione con quella dei “combattenti di Re Francesco”, per ammantarsi di una immeritata gloria.

Il tema del brigantaggio non è stato mai affrontato dalla storiografia locale. I cultori storici del passato non ne hanno mai accennato né hanno condotto spogli sistematici della documentazione custodita presso l’Archivio di Stato di Napoli e Caserta. Nel limite delle scadenze temporali che ci siamo dati, scandendo la ricerca in più articoli così da non contenere tutto in un unico intervento, cercheremo di gettare una luce su questo periodo oscuro della nostra storia2, totalmente dimenticato eppure importante per capire le dinamiche sociali ed economiche che segneranno tutto il resto del secolo e oltre.

Un caso di estorsione.

La cronaca che stasera vi rilascio è desunta dallo spoglio dei fondi dell’Archivio di Stato, che periodicamente conduco per illuminare le tenebre della storia cittadina. Risale al 25 giugno 1861: siamo a poco dopo l’annessione al Regno sabaudo (lo stemma di Casa Savoia è impresso sul documento, in alto a sinistra).

Riporto la fonte per intero:

L’Intendente del Circondario di Afragola mi riferisce che nelle campagne del Comune di Afragola, una compagnia di sette malviventi si tiene nascosta, avente a capo un tal Marco Zanfardino, evaso dalla galera, che uno di essi consegnava negli scorsi giorni al guardiano di campagna Errico Crivelli una lettera diretta al signor Giacomo Fusco di quel Comune, con cui gli si chiedevano 50 piastre, minacciandolo in contrario della vita, e incendio di tutti i raccolti di campagna, che il capitano della Guardia Nazionale non tralascia di indagare i mezzi come sorprendere detti malviventi, inviando sulle loro tracce la forza di suo comando, e che egli non aveva dato cognizione al Giudice del Mandamento. Io ho detto che dia ordine a tutti i comandanti delle Guardie Nazionali de’ dintorni dei luoghi dove que’ malfattori si aggirano, perché necessino l’arresto, cooperando fra loro e ponendosi in relazione con la forza dei Carabinieri, e mi pregia il tutto rapportare a Lei, perché ne sia intesa.

Il Governatore”3.

Siamo in presenza di un tentativo di estorsione perpetrato per l’interposta persona del guardiano di campagna, colui che aveva il compito di controllare il lavoro nei campi e il rispetto dell’ordine pubblico.

Marco Zanfardino era a capo di un gruppo di criminali nascosti nelle masserie che punteggiavano il territorio agreste di Afragola. Non era un nascondiglio banale: il casale delle fragole contava circa 60 fra masserie e casotti agricoli, e la rete di connivenze di cui dovette godere garantiva alla banda la possibilità di uscire allo scoperto solo in sicurezza e di notte. Zanfardino era evaso dal carcere: in assenza di altre informazioni, dobbiamo supporre che fosse quello locale, ospitato nei locali dell’ex convento domenicano.

La piastra era la moneta d’argento in uso nel Regno delle Due Sicilie e nello Stato pontificio: al momento dell’estinzione delle istituzioni regnicole, una piastra corrispondeva a 120 grana, la moneta base, e 50 piastre erano dunque 6000 grana, un bottino ricchissimo. Che una tale cifra fosse richiesta in un’unica soluzione al ricattato, ci informa sia sulla ricchezza di questi sia sulla qualità dei terreni agricoli afragolesi, che avevano il valori di produzione più alto assieme a Frattamaggiore dell’area napoletana. La cattura di uno sparuto gruppo di malviventi era stata ritardata dallo scarso coordinamento delle forze dell’ordine: solo così possiamo spiegarci quell’accenno alla cooperazione fra la Guardia Nazionale e l’Arma dei Carabinieri ordinato dal Governatore.

L’azione criminosa avviene pressoché in contemporanea con quella che già raccontammo mesi fa, circa la persona ben poco rispettabile del sindaco di Afragola, Giuseppe Fiore (link).

(segue)

Note

1 Poche furono le famiglie che riuscirono a rifarsi un nome nel nuovo regime. Una di queste fu la famiglia Maiello, che contava già un sindaco borbonico e riuscì a imporsi anche nel nuovo stato di cose con l’elezione di un altro suo esponente, stavolta al servizio dei Savoia.

2 Altri momenti di intervento dirimente di Vetus et Novus nella storiografia locale sono stati: la scoperta della croce templare in San Marco (2014), il rilancio dell’interesse del campo preistorico delle Cinquevie/ Sanguinito (2015), i primi articoli di testimonianze sul periodo bellico di Afragola (reduci, Casone Spena, 2016), il primo resoconto serializzato sulla peste del 1656 in Afragola (2017), la rubrica “Afragola d’arte” (2018 – 2019), il primo resoconto sulla rivoluzione giacobina del 1799 in Afragola (2018), e infine la valorizzazione delle opere di Angelo Mozzillo (dal 2014).

3 Archivio di Stato, Fondo Alta Polizia, busta 183, fascicolo 6508: “Rapporti giornalieri del Governatore Provinciale di Napoli”.

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